Ricordo benissimo: ero nel soggiorno della nostra casa, sprofondato nella poltrona vicino al tavolino dove c'era il giradischi della sala... che era un Philips...
Sul piatto c'era quel nuovo 33 giri (appena "scellofanato") e io ero pronto ad ascoltarlo, con le mie immense cuffie, come se fossi stato un astronauta in procinto di scoprire un nuovo pianeta.
Fantastico... arrivo alla fine del primo lato... la cosa che odiavo di più era il dovermi "risvegliare" per girare il disco. Ricordo che avevo visto da qualche parte un meccanismo che in automatico girava il vinile... però era costoso e funzionava solo con i giradischi seri, quelli di marca (quindi per me era sarebbe stato impossibile averlo).
Parte due. Horizons: un pezzo spettacolare di chitarra (che poi alcuni anni dopo avrei faticosamente imparato a suonare), e poi... inizia quel brano che cambierà tutto: Supper’s Ready. È lungo, complesso e misterioso (da quel punto in poi occupa tutto il resto del lato B di Foxtrot).
Già dalla prima volta capisco che quekka è più di una odissea musicale.
Ma andiamo con ordine.
“Supper’s Ready” comincia con
“Lover’s Leap”, molto delicato:
“Walking across the sitting-room, I turn the television off…”
Io sempre più sprofondato... vedevo quella coppia mentre arrivava la notte...
Quei pezzi furono composti all'unisono da Peter Gabriel, Tony Banks, Mike Rutherford, Steve Hackett e Phil Collins, proprio come una vera suite in sette parti, con cambi di ritmo, ambienti e narrazione interna e io, con la copertina del disco appoggiata al muro, ricordo che guardavo il soffitto sentendo che quelle note mi stavano portando altrove.
Dalla quiete si passa rapidamente in un mondo più strano. Con
“The Guaranteed Eternal Sanctuary Man”,
“Ikhnaton and Itsacon and Their Band of Merry Men”,
“How Dare I Be So Beautiful?”, fino a
“Willow Farm”, tutto cambia: ritmo, tonalità, voce, atmosfera. Le immagini evocano campi, profeti, rivolte, sale da ballo distorte, luci stroboscopiche interiori.
“Willow Farm” è decisamente folle, scherzosa, un contrasto netto con l’inizio:
“If you go down to Willow Farm, to look for butterflies…”.
È come se stessi seguendo un film in bianco-e-nero, ma con il suono che colora ogni scena.
Poi arriva la parte che mi ha lasciato senza fiato:
“Apocalypse in 9/8”. Il titolo stesso è già un segnale. Musica serrata, tempo complesso (quel 9/8 che sembra un orologio che ticchetta verso la fine), voci che annunciano draghi, guardiani, battaglie. Il testo del brano e l’atmosfera indicano chiaramente che c’è molto più dell’amore: c’è il mondo, c’è la lotta, c’è il giudizio.
In quella fase della mia vita in cui tutto sembrava drammatico, immaginavo che anche il mio mondo interiore stava combattendo: desideri, paure e voglia di libertà, e quella musica lo traduceva chiaramente.
E poi la parte finale:
“As Sure As Eggs Is Eggs (Aching Men’s Feet)”. Il ritmo rallenta, l’energia si ricompone, la battaglia è alle spalle. Le voci si levano, le tastiere si "elevano", e la sensazione è quella di tornare a casa, ma un’altra casa, una nuova casa (come il brano suggerisce).
Con gli occhi chiusi, immaginavo di essere il “lui” di Lover’s Leap che ha attraversato il caos per ritrovarsi cambiato e trasformato. Così anch'io, mi sentivo non più un semplice ragazzo ma qualcuno che aveva visto un paio di cose in più... almeno nella musica.